PEDAGOGIA GLOBALE
ASSOCIAZIONE LETTERA NUMERO DUE
PER LA PROMOZIONE
DELLE SCIENZE DELL’UOMO a te personalmente
Una lettera non è una comunicazione, ma uno stato d’animo.
Non è un trattato e non vuole concettualizzare. Solo esprimere così, come sto facendo in questo momento, nella cittadina di Langres, venuto a cercare la mia solitudine come ricupero dei venti minuti giornalieri del prof. Aceti, non sempre trovati con regolarità.
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Mi ricorda l’umorista Mosca che scriveva: uno è vecchio quando non sente più la voglia di uscire dal sentiero tracciato per andare a calpestare la neve.
Comunque vi ricordo tutti qui da Cristofoli all’albergo Jeanne d’Arc con la preoccupazione di mantenere l’impegno della lettera mensile.
Vi dirò che anche Liberman in questi giorni ha mantenuto la sua promessa di scrivere il libro che mi ha mandato per tutto il gruppo: Les enfants devant le divorce, ed. Presses Universitaires de France, Paris,1979. Il libro sta sul ritmo del nostro incontro con l’autore: studio psicopatologico e medico-sociale.
E’ anche una maniera per lavorare quando si devono organizzare gruppi di studio come stiamo facendo con i nostri incontri mensili.
Ripenso alla serata natalizia in Santa Maria Valle con la presenza del prof. Colas di Lione e di tutti noi per lo scambio degli auguri. Ci siamo sentiti veramente in comunione al di là delle cose natalizie. Come pure penso la telefonata di Magda da Ferrara: “Qualcuno allora ha capito quello che sto vivendo”.
E’ partita così la nostra prima borsa di studio di £. 264.500 per una di noi come è nei programmi di Pedagogia Globale. Non sarà l’unica. Qualcuno dei giovani sta cercando l’elenco di tutte le borse di studio a disposizione, perché occorre collocarsi, a livello di formazione, su di un piano di costante aggiornamento.
Ieri, andando per librerie a Digione, vedevo i grandi manifesti che reclamizzano un libro-cronaca di una associazione che aiuta i giovani a realizzare la loro vocazione. Il volume racconta come essi si sono realizzati per sé e per gli altri. Non siamo molto lontani quando noi, come Pedagogia Globale, operiamo per l’aggancio degli studi alla professione, e della professione alla specializzazione. Occorre essere disponibili anche per questo. Occorre insegnare non solo a dare, ma anche a saper accogliere.
Sono sceso nella gotica chiesa a cinque navate con gli archi contorti e le colonne sbilenche di St. Martin dove fummo accolti come gente conosciuta da sempre, prima della cena da Cristofoli. Mi riecheggiavano le parole del film Monsieur Vincent: è per il tuo amore, solo per il tuo amore, che i poveri ti perdoneranno il pane che dai loro.
Anche per chi fa pedagogia, questa frase ha un senso. Non sempre “l’educando” fu misericordioso con il Maestro se costui dava il pane del sapere senza amore. La scuola di oggi, allora?
Sull’ala di questo ricordo i pensieri incalzano. Mi vado sfogliando la proposta teatrale di Jerzi Gritowski, grande regista polacco, passato or ora da Milano. Egli parla dell’evoluzione che sta vivendo nel passaggio dal teatro povero al teatro delle origini. Ha rappresentato, qui da noi in Italia, Apocalypsis cum figuris, scritto nel ’68, poi Le voglie, poi L’albero delle genti. Rileggendo il suo volume Per un teatro povero trovo che per lui il nucleo essenziale è “un rapporto diretto, palpabile, una comunione di vita fra l’attore e lo spettatore”.
Oggi Gritowski dice, a distanza di tempo: “io non voglio fare una scuola, non voglio altri allievi attratti dalla mitologia del mio nome. Ho già abbastanza allievi: se qualcuno ha avuto qualcosa di prezioso da noi, deve nasconderlo nella terra come un seme, fra qualche anno esso crescerà. I nostri limiti sono relativi e si possono superare. Non essere, questo è grave. Ma noi non siamo condannati a questa condizione. Con il laboratorio possiamo cercare, cogliere l’essenza del tempo totale, dell’eternità”.
Ora, esaurita la funzione del parateatro, Gritowski tende verso il “teatro delle origini”: ed è molto più difficile dire ciò che è. In fondo io non conosco, io non possiedo un linguaggio per poterlo dire. In ogni periodo della vita ho potuto trovare il linguaggio solo dopo l’esperienza.
E’ dunque normale che io non possegga il linguaggio e che solo ricorrendo a perifrasi, e facendo degli esempi, cerchi di darvi un’immagine del progetto.
I partecipanti al teatro delle origini saranno persone di diversi continenti e di diverse condizioni sociali e culturali.
Il teatro delle origini è legato al fenomeno delle origini tecniche che riconduce alle origini della vita, per dirigerne la percezione verso un’esperienza organica primaria della vita. Esistenza-presenza.
Il tema sarà il fenomeno drammatico primario visto in termini di esistenza umana. Esso sarà un decollare in una specie di volo comune verso il levar del sole, verso il principio.
A questo principio, egli ha dato come spunto una frase di Herman Hesse:
“In realtà, in un senso superiore e autentico, questo convoglio diretto verso l’Oriente non era semplicemente il mio, né di quel momento preciso, di quel fiume di credenti e di fedeli che scorreva verso est, verso la culla della luce, senza interruzione né tregua; esso era eternamente in cammino attraverso i secoli, in direzione della luce e del miracolo, e ciascuno di noi, ogni nostro gruppo e l’intera torma e la sua vasta progressione, tutto ciò non era che un’onda nel fiume eterno delle anime, nell’eterno sforzo degli spiriti per avvicinarsi alla chiarezza, alla patria”.
Come non desiderare allora che Pedagogia Globale esca allo scoperto per tutti coloro che, nel campo della pedagogia, delle relazioni umane, della educazione, sono alla ricerca di “un decollare in una specie di volo comune” sul piano del cammino del desiderio e nella costruzione della speranza?
Esco rasentando, sotto l’incalzare della neve, rasentando le antiche case dai lunghi camini; le case e le mura dall’alto, all’incrocio delle antiche strade romane dominano l’ampia vallata della Marna con i suoi laghi plumbei. Mi scaldo le mani tenendo la pipa fumosa.
Vado all’incontro, dentro di me, con Michel Tournier. Egli ha appena pubblicato da Gallimard Il vento paraclito. E’ un uomo intelligente, non intellettuale (un intelligente può essere, a volte, anche intellettuale; un intellettuale non è necessariamente sempre intelligente) che coltiva l’humour e il paradosso, che mostra un certo cinismo di difesa, pur essendo ricco di grandi passioni. Michel Tournier vive da solitario in un villaggio nella valle della Chevreuse “là dove avvengono le cose serie: il lavoro, il sonno, l’amore“.
Mi ricorda alcuni di noi che lavorano con i più giovani, sperando e anticipando il futuro degli adolescenti che vanno riconsiderati nel loro urgente processo di interiorizzazione e nel momento magico delle identificazioni con adulti significativi.
Ebbene Tournier sostiene che la sua vera vocazione sarebbe stata di diventare professore: “avrei amato insegnare filosofia agli allievi di prima media“. Ora sta gettando le basi di un trattato semplice e saggio, che dovrebbe permettere loro di essere filosofi ad una età in cui essa è sinonimo di oscurità. E questo non è il più piccolo dei suoi paradossi. Sta scrivendo quest’opera per quest’età. E ci tiene molto, più di tutto. Tra l’altro, desidera che si scriva sulla sua tomba: “ti ho adorato, tu mi hai reso il centuplo. Grazie, vita“.
Tra le molte altre cose che vorrei scrivervi, ecco ora l’incontro con un uomo che da quarant’anni vive all’avanguardia dell’accoglienza e che ora ha aperto una casa “La Sorgente” ove ognuno può andare a pensarsi e a dirsi.
Attraverso la conversazione escono queste riflessioni:
“Sempre più si manifestano le nausee per le pseudo comunità e le frignacce di certe comunità fraterne… Occorre rispondere oggi, alla speranza degli uomini con un linguaggio comprensibile. Ma è anche vivere in modo tale che gli altri sappiano un po’ meglio perché vivono, perché lottano, perché muoiono. E’ esserci in stato di attesa. Come uno che veglia e che cerca di indagare il senso del cammino.
La vita è una lunga pazienza… La grande pazienza di Dio nella storia. Il suo lungo silenzio… Bisogna disimparare molto per rinascere.
Oggi la gente rivendica un diritto alla vita spirituale. Noi dobbiamo rispondere, non solo moltiplicando i luoghi, ma facendo in modo che la sete spirituale del nostro tempo trovi dove dissetarsi in comunità rinnovate, più fraterne”. (Leonis Retif)
A noi ora forse compete una riflessione sul perché della pedagogia
In tutte queste istanze che vi ho proposto, perché credibili, vi è un appello alla risposta. L’ansia del mondo è sapere dove ci porta la speranza se essa viene accolta dall’uomo.
Ma la risposta è l’opera di tutti e occorre tempo.
Essere abbastanza forti per essere credibili, essere abbastanza fragili – ossia saper vivere ed esprimere i propri dubbi- pur avendo la forza che procura lo sguardo di chi ha fede nell’uomo e nel trascendente, perché sia chiaro che non è di noi che testimoniamo. Si dirà che questa forza e questa fragilità non sono dello stesso ordine, è vero. Però, è agli stessi uomini che viene chiesto, a titolo della loro scelta di vita, di vivere l’una e l’altra.
Doppia fedeltà: ascoltare, perché non si inventa la propria missione pedagogica, la si riceve; ma mettersi da uomini responsabili, sensibili “ai segni dei tempi“, e pronti a rinnovarsi tante volte quanto sarà necessario.
Chiamati ad essere responsabili significa imporsi di formarsi, di farsi competenti; è partecipare alle ricerche, alle azioni, alle riflessioni là dove hanno luogo, e in comune con gli altri.
Sensibili ai segni dei tempi: sono numerosi, spesso contraddittori, quasi sempre ambigui e difficili da decifrare. Si impone l’apprendimento di un vero discernimento.
Pronto a rinnovarti. Ciò che è richiesto a ciascuno di noi è adattabilità di spirito, di carattere, non paura di grandezza.
Il mondo attende la primavera. Si dice che essa è nelle mani di Dio, ma è anche opera delle nostre mani.
Ogni risposta che dai non va misurata sul dono ricevuto.
Ogni riconoscenza investe tutto l’uomo. Non basta pensarci: i gesti devono incarnarla, evitando i gesti formalisti o i gesti senza anima.
Tanto vi dovevo e tanto vi ho scritto con gli auguri per il nuovo anno.
Con stima
Umberto Dell’Acqua