Esce negli anni ‘80 il settimo rapporto del club di Roma dal titolo: ”Imparare il futuro”.
Il progetto, affidato a tre gruppi di lavoro e ad un folto numero di consulenti di diverse culture e discipline, è redatto de tre esperti: James W. Botkin, statunitense, Mahdi Elmandura, marocchino, Mircea Malitza, rumeno. Punto focale è la presa di coscienza del divario fra l’uomo e l’ambiente, i cui cambiamenti, procurati dall’uomo stesso attraverso l’applicazione degli apporti della tecnica, sono sfuggiti alle previsioni nelle loro implicazioni dirette e indirette, generando un disorientamento in tutte le popolazioni della terra, disorientamento che potrebbe dar adito ad un destino tragico per tutta la specie umana, senza un deciso cambiamento di rotta. Occorre, innanzitutto, chiedersi se siano ancora adeguati i processi di apprendimento cui si è fatto ricorso fino ad oggi, in primis l’apprendimento conservativo, sospeso solo davanti ad eventi estremi. Esso è, e resta, indispensabile ai fini della stabilità della società, ma occorre far emergere, accanto ad esso, l’apprendimento innovativo perché la problematica globale rischia di trasformare un trauma in una fatale catastrofe.
A caratterizzare l’apprendimento innovativo è l’anticipazione.
Diversamente da quanto avviene nell’apprendimento per trauma, l’apprendimento innovativo richiede il ricorso a simulazioni e modelli per valutare l’impatto, a livello globale, anche di una iniziativa locale. L’anticipazione però non basta. E’ necessaria anche la partecipazione, intesa come cooperazione e verifica costante dei valori in base ai quali si opera al fine di raggiungere non solo la pura sopravvivenza ma anche quella dignità che è rispetto per l’umanità globalmente intesa.
Primo requisito dell’apprendimento innovativo è la comprensione intellettuale di una informazione, che non può prescindere dal contesto in cui appunto risiede il suo significato. I dati informativi infatti non entrano nel nostro cervello isolatamente ma corredati dai loro contesti, che aumentano le possibilità di disporre di analogie atte a generare schemi mentali nuovi ed efficaci. L’anticipazione richiede la sperimentazione di situazioni immaginarie, calcolandone gli effetti indesiderati definiti “effetti a sorpresa”.
Aspetti di anticipazione sotto forma di pianificazione a lungo termine sono sì presenti oggi, ma l’apprendimento innovativo è di fatto assente nei processi decisionali e nei sistemi di istruzione , che quindi non si assumono la responsabilità di poter influire sugli eventi futuri.
Se l’anticipazione è una attività mentale, la partecipazione è una attività sociale che la integra, conciliando divergenze e soprattutto ovviando a quelle insofferenze sempre più marcate oggi verso soluzioni calate dall’alto. Si può garantire il diritto alla partecipazione, ma la responsabilità che essa comporta non può esser “data”, motivo per cui una partecipazione reale è solo quella volontaria, quella obbligatoria è controproducente. Oggi ci si esprime per lo più in “partecipazione per veto”, che può essere miope anche se animata da ideali. Una partecipazione efficace richiede la pratica di una vasta gamma di ruoli da esercitare nel tempo libero, che acquisterebbe valore relativamente al tempo lavorativo.
Gli scopi generali della sopravvivenza della specie e della dignità umana sono preceduti da obiettivi intermedi che sono: autonomia e integrazione. A livello sociale l’autonomia si declina in termini di identità culturale, che si riflette nella capacità di costruire un sistema coerente di valori, di fini, di mezzi, di vie alternative di sviluppo; a livello individuale si esprime nei processi decisionali che, partendo da una rappresentazione più chiara della realtà grazie anche a contributi esterni, diventano la base per l’autorealizzazione.
Quanto alla integrazione, essa non aumenta a spese dell’autonomia e viceversa; la pratica della cooperazione deve sostituire la regola della competizione perché la consapevolezza di problemi globali dovrebbe farci approdare alla solidarietà.
Ma quali sono gli elementi che mediano qualsiasi forma di apprendimento?
L’apprendimento conservativo fa riferimento quasi esclusivo al linguaggio, espressione stupefacente della facoltà simboleggiatrice della mente umana, l’apprendimento innovativo dirige l’attenzione su gli strumenti, le immagini, i rapporti umani, i valori.
Gli strumenti sono mezzi tecnici che estendono le facoltà fisiche e mentali dell’uomo; le immagini precedono le parole non solo nel linguaggio infantile, esse sono fondamentali per ogni ragionamento mentre risultano assenti negli elaboratori elettronici, esistono anche a livello di società fornendo un nesso fra l’apprendimento individuale e quello di gruppo; i rapporti umani modificano l’asimmetria delle interazioni, imposta da poteri ineguali, che ci priva di contesti più ricchi e del loro significato intrinseco; la comunicazione dovrebbe essere meno verticale e più orizzontale; i valori si collocano sulla linea che discrimina la obiettività dalla soggettività, i fatti dai giudizi, i mezzi dai fini ecc.
Nell’apprendimento innovativo c’è una continua tensione verso la selezione dei valori ma l’apprendimento innovativo funziona in sistemi aperti dove sono presenti contrasti come quelli dei problemi globali che ci interrogano. Sempre a proposito dell’apprendimento innovativo emerge, mutuato dalla biologia, il concetto di adattamento, che non solo ha sostituito il modello meccanicistico dei secoli precedenti, ma si è esteso dalla evoluzione naturale delle specie ai processi dell’apprendimento umano.
L’uomo però ha due sistemi di informazione: quello genetico e quello intellettuale.
L’adattamento in senso biologico è preceduto da un cambiamento; l’apprendimento innovativo anticipa e crea il cambiamento. E’ interessante soffermarsi sulla differenza fra apprendimento da parte degli automi e apprendimento umano. Nei meccanismi di feedback (retroazione) le variabili in ingresso al sistema vengono regolate sulla base delle variazioni rilevate nelle variabili in uscita, così il termostato mantiene la temperatura stabilita, così nel sangue la chimica mantiene un equilibrio omeostatico. Questo è un esempio di apprendimento conservativo, comune ai sistemi tecnici e sociali, dove le conseguenze portano al cambiamento, retroattivamente. Ma più illuminante è il confronto fra l’apprendimento cibernetico e quello basato sulla partecipazione (tipica dell’innovativo). Anche nel cibernetico non sono assenti i valori, ma sono stati “congelati” nel progetto del programmatore e misurati su una scala determinata, quindi non possono esser paragonati a quella innovazione dei valori messa in campo dall’uomo nel suo processo di conoscenza. Con gli elaboratori elettronici la cibernetica entra nel regno intellettivo, ma a sottolineare che l’apprendimento umano non può essere ridotto ad una elaborazione di dati e di informazioni relative alla probabilità di un evento sta il fatto che l’apprendimento dell’uomo è motivato dal significato, dal valore, dal peso relativo che egli assegna a quelle informazioni.
L’apprendimento innovativo trova ostacoli sul suo cammino: uno di questi è rappresentato dal settore militare, che per le proprie attività di R&D (ricerca e sviluppo) assorbe il 50% degli scienziati e dei tecnici di tutto il mondo, con una spesa di fondi pubblici pari alla somma destinata alla istruzione, agli alimenti, alla salute, alla energia messi insieme. Una occasione perduta per l’apprendimento innovativo è stata anche quella delle telecomunicazioni, in particolare della televisione, ove è prevalsa la diffusione di modelli stereotipati, connotati spesso da violenza ma capaci di attrarre il maggior numero di persone possibili. Una tecnologia come questa ad alta intensità di capitali guarda ai proventi della pubblicità disponendosi a trasformare gli utenti in consumatori. Anche l’istruzione scolastica, con cui si identifica in generale l’apprendimento, sembra non assolvere al proprio compito primario, che è quello di preparare alla vita. Davanti a trasformazioni di crescente complessità non contempla, per esempio, l’apprendimento permanente, insiste sulla manipolazione di simboli linguistici e numerici trascurando l’addestramento ad effettuare scelte etiche al fine di identificare coscientemente i propri valori. Anche le Università dovrebbero essere un laboratorio che prepara futuri alternativi organizzandosi attorno a problematiche vitali. Va sottolineato pure lo spreco di potenziale umano individuato sia nell’analfabetismo scolastico, sia in quello funzionale di chi sa leggere e scrivere ma non ad un livello che gli permetta di trovare una occupazione, sia in quello relativo alla partecipazione selettiva che esclude soprattutto le donne, le quali potrebbero incidere sulla individuazione delle dimensioni anticipatorie perché le donne, un quanto madri, sono idonee ad occuparsi del futuro.
Resta limitata la ricerca sui meccanismi che sottostanno all’apprendimento¸ si dovrebbe invece offrire un sostegno internazionale sollecitando le apposite organizzazioni per approfondire le ricerche neuro-fisiologiche sul cervello e le ricerche socio-psicologiche stimolando un approccio multidisciplinare; non si deve dimenticare che l’apprendimento avrà un impatto decisivo sul nostro futuro. Si rende necessaria quindi una trasformazione consapevole avviata da una nuova volontà politica che rifletta sui limiti del trasferimento di capitali e di tecnologie, “ elementi duri “ come li definisce A.Taynbee, per non parlare della impossibilità di trasferire gli “elementi morbidi “, come valori, convinzioni spirituali, stili di vita ecc. A questo punto è opportuno approfondire una problematica relativa alla scienza e alla identità culturale. La scienza porta una sua particolare visione del mondo; purtroppo in questi tempi si è subordinata alla “filosofia” della tecnologia secondo la quale ciò che si può fare, si fa, mentre la scienza dovrebbe indirizzarsi verso ciò che si deve fare per il bene della umanità. Essendo la scienza un prodotto endogeno, ossia legato ai sistemi di valore di una determinata cultura, essa è per definizione non trasferibile (elemento morbido). Occorre quindi allargare la sua base a livello internazionale. Come priorità si dovrebbe, per esempio nei paesi che soffrono la fame, stabilire un programma di “scienza per il pane” promuovendo l’autosufficienza nella produzione degli alimenti e l’equità nella distribuzione. Altra priorità: costruire a livello locale e di comunità delle Unità di approfondimento scientifico a livello sperimentale per migliorare condizioni sanitarie, disponibilità d’acqua potabile, di alloggi ecc. Anche gli obiettivi della U.N.C.S.T.D.(conferenza delle Nazioni Unite per l’applicazione della scienza e delle tecnologie allo sviluppo ) sono quelli di produrre un nuovo clima favorevole alla creazione di una base endogena per la ricerca nei paesi in via di sviluppo. Il più complesso dei problemi resta quello della identità culturale che è uno dei bisogni psicologici non materiali più importanti al quale solo l’apprendimento innovativo può avviare a soluzione altrimenti si va incontro a dei rischi: dalla omogeneizzazione delle culture alla disgregazione culturale e psicologica. Motivazioni: un “etnocentrismo” (anche a livello inconscio) letto dall’altro come aggressione culturale; una schizofrenia culturale conseguenza di una assimilazione di modelli non in linea con le proprie tradizioni culturali (cfr. nei paesi ex_ colonie) ecc. Per questo occorre combattere innanzi tutto la polarizzazione che è una tendenza a credere che la diversità metta in crisi l’unità, in altri termini: che la interdipendenza globale si contrapponga all’autonomia delle identità culturale. Ora: la nostra specie, accanto alla singolarità della persona, dispone di un universo di tratti comuni, con affinità nei processi di apprendimento per cui il diritto alla diversità è un prerequisito ai fini di una interazione globale veramente significativa. In base quindi alla prospettiva tipica dell’apprendimento innovativo sarebbe necessario: il consenso su un gruppo minimo di valori universali; L’incentivazione ad un continuo confronto con valori diversi ai fini di affrontare i problemi da un punto di vista locale ma anche globale escludendo il ricorso alla ipotesi di un governo mondiale e scartando un progetto unico di apprendimento in quanto quest’ultimo è orientato dalla matrice di quella identità culturale cui fa riferimento.
Annamaria Visconti